Tribunale Catanzaro Sez. II, Sent., 26/04/2023
Tribunale Catanzaro Sez. II, Sent., 26/04/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Catanzaro, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Carmen Ranieli, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 5736/2014 R.G.A.C. vertente
TRA
M.F.E. (c.f. (...) ), elettivamente domiciliata in Cropani Marina, Viale Venezia n. 29, presso lo studio dell'Avv. Vincenzo Bianco, che la rappresenta e difende in giudizio, giusta procura a margine dell'atto di citazione
-attrice-
E
AZIENDA O.P.-C.C. (C.F. (...)), in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliata presso la sua sede in C., Via V. C., rappresentata e difesa unitamente e disgiuntamente dagli avv.ti Florenza Russo e Marcella Mamone, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta e delibera di incarico in atti
-convenuta -
NONCHÉ
P.M.
-convenuto non costituito -
Oggetto: Risarcimento danni derivanti da responsabilità sanitaria.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., F.E.M. ha convenuto in giudizio, dinnanzi all'intestato Tribunale, l'Azienda O. P.-C." di C. e il dott. M.P., per chiederne la loro condanna solidale al risarcimento dei danni subiti a causa della condotta imperita e negligente del predetto medico che l'ebbe in cura nel corso dei numerosi ricoveri presso il reparto di ginecologia della predetta struttura, a far data dal 9.11.2004 fino all'ultimo ricovero del 12.12.2005.
In particolare, ha dedotto che l'errore medico commesso sarebbe consistito nel ritardo con cui era stato eseguito l'intervento chirurgico di laparoisterectomia in data 22.12.2005, nonostante la diagnosi di grosso mioma uterino risalente già al settembre 2004 (in occasione della visita specialistica privata effettuata presso lo studio medico del dott. M.P.), confermata in occasione del primo ricovero presso l'azienda sanitaria convenuta del novembre 2004. Ha evidenziato, infatti, che nel maggio 2005 (a distanza di otto mesi dalla diagnosi iniziale), ella veniva nuovamente ricoverata per effettuare una miectomia laparoscopica, che risultò essere incompleta in quanto venne effettuata l'asportazione solo parziale del mioma. Anche durante il successivo ricovero dell'ottobre 2005, motivato da coliche pelviche ed ematuria, veniva prescritta solamente terapia farmacologica. L'intervento veniva, poi, ulteriormente procrastinato al ricovero avvenuto sempre per menometrorragia il 20.10.2005, con riscontro di trombosi venosa profonda all'arto inferiore sinistro.
Infine, in data 22.12.2005 veniva finalmente effettuato l'intervento di laparoisterectomia, che tuttavia si rendeva ormai particolarmente aggressivo, con annessiectomia dx con omentectomia, linfadenectomia pelvica e paraortica, appendicectomia, colostomia sec. H.. Veniva, inoltre, riscontrata una patologia neoplastica particolarmente avanzata, addirittura in fase necroticocolliquativa, con interessamento anche a livello intestinale e diagnosi di leiomiosarcoma uterino T4N0M0, per cui veniva sottoposta a sei cicli di trattamento chemioterapico dal febbraio al giugno 2006.
L'attrice ha sostenuto, dunque, che i sanitari che l'ebbero in cura (in primis, il dott. P.) avevano sottovalutato l'evoluzione del fibroma uterino che, a causa del ritardo diagnostico-terapeutico, si è trasformato in una neoplasia maligna, laddove invece l'affezione avrebbe dovuto essere trattata sin dall'inizio non con la terapia medica (che non aveva arrestato infatti la crescita del mioma), ma con un tempestivo intervento di miectomia, che era da ritenere assolutamente indicato in rapporto ai rischi ed alle implicazioni prognostiche ed evolutive e che avrebbe evitato la perdita anatomo-funzionale dell'utero ed il processo settico che ha interessato anche le anse intestinali, evitando, inoltre, le protratte cure chemioterapiche.
Sulla scorta del dedotto inesatto adempimento della prestazione sanitaria, con il ricorso introduttivo ha chiesto il risarcimento dei seguenti danni:
- danno biologico temporaneo e permanente;
- danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, da liquidarsi separatamente ed equitativamente; - danno dinamico-relazionale, cd. "esistenziale", da liquidarsi separatamente ed equitativamente; - danno patrimoniale per spese di viaggio per recarsi agli ambulatori medici forfetariamente quantificate in Euro 500,00 oltre alle spese per la perizia di parte, come da nota proforma allegata;
- danno patrimoniale da lucro cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica, allegando che la medesima è casalinga e parametrando il risarcimento al triplo annuo della pensione sociale.
A seguito del passaggio dal rito sommario a quello ordinario, con la prima memoria istruttoria, l'attrice ha approfondito la descrizione delle sofferenze soggettive e delle alterazioni delle abitudini di vita patite a causa dei nefasti eventi sopra narrati.
Costituendosi in giudizio, l'Azienda O. "P.- C." di C. si è difesa sottolineando la correttezza dell'operato dei sanitari secondo le linee guida e comunque l'infondatezza della domanda avversaria per omessa individuazione di uno specifico inadempimento sanitario. Ha addotto, infine (invero con la seconda memoria istruttoria), che il consenso informato acquisito per l'intervento eseguito in data 9.05.2005 si riferiva soltanto alla miomectomia laparoscopica e non anche alla isterectomia, conformemente al desiderio espresso dall'attrice di conservare l'utero ai fini di un'eventuale seconda gravidanza.
Non si è costituito, invece, il dott. M.P., nonostante la regolarità della notificazione eseguita nei sui confronti. Egli va, pertanto, dichiarato contumace.
La causa, istruita con l'espletamento di una C.T.U., è stata trattenuta in decisione, una prima volta, all'udienza del 12 aprile 2022; successivamente, rimessa sul ruolo per un approfondimento specialistico riguardante, nello specifico, l'invalidità temporanea eventualmente derivata alla attrice dalle lesioni subite, è stata nuovamente assunta in decisione all'udienza del 10.11.2022.
2. In punto di diritto deve sottolinearsi che la fattispecie dedotta in giudizio va ricondotta nell'alveo della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. sia per quanto riguarda la responsabilità civile della struttura sanitaria sia per quanto riguarda quella del medico, entrambi convenuti in giudizio.
Infatti, in relazione al secondo, l'attrice ha espressamente allegato di aver concluso col medesimo un contratto diverso ed ulteriore rispetto a quello che obbliga la struttura nella quale il sanitario ha operato: ha dedotto, in specie, di essersi recata a visita specialistica nel suo studio privato in data 7.09.2004, a causa di una ipermenorrea e che il medico, tramite accertamento ETV, le aveva diagnosticato la presenza di un grosso mioma uterino (riscontrabile dall'esame delle cartelle cliniche relative al primo e al secondo ricovero (allegate sub docc. 1 e 2 del fasc. di parte attrice).
Quanto alla responsabilità della struttura sanitaria, in giurisprudenza è fermo il principio secondo cui essa è obbligata a erogare al paziente una prestazione sanitaria complessa per effetto del contratto di spedalità con lo stesso, la cui fonte è "un contratto atipico a prestazioni corrispettive (...) da cui insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente) accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze" (v. Cass. n. 13066/2004).
Il fondamento della responsabilità dell'ente è pertanto la norma di cui all'art. 1218 c.c. per l'inadempimento di prestazioni proprie e la norma di cui all'art. 1228 c.c. in caso di responsabilità (indiretta) per fatto del medico, quest'ultimo considerato ausiliario necessario della struttura.
In tema di responsabilità sanitaria, la Suprema Corte ha puntualizzato che "il paziente-creditore ... ha il mero onere di provare il contratto (o contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità" (ex multis, Cass. 9 ottobre 2012, n. 17143, nonchè Cass. 20 ottobre 2015, n. 21177).
Più in particolare, come è stato di recente osservato dalla Suprema Corte con specifico riferimento alla responsabilità per attività medico-chirurgica, nei giudizi risarcitori si delinea "un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)" (così, in motivazione, Cass. 26 luglio 2017, n. 18392).
Ne consegue, dunque, che la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull'attore o sul convenuto.
Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile.
Non solo il danno, ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all'attore di provare: "la previsione dell'art. 1218 c.c. solleva il creditore dell'obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento … la previsione dell'art. 1218 c.c. trova giustificazione nella opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente o non esattamente adempiente l'onere di fornire la prova "positiva" dell'avvenuto adempimento o dell'esattezza dell'adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova, secondo cui essa va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla (cfr. Cass., S.U. n. 13533/2001). Tale maggiore vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale fra la condotta dell'obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragion d'essere l'inversione dell'onere prevista dall'art. 1218 c.c. e non può che valere - quindi - il principio generale sancito dall'art. 2697 c.c., che onera l'attore (sia il danneggiato in sede extracontrattuale che il creditore in sede contrattuale) della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa" (così, nuovamente, Cass. n. 18392 del 2017, cit.). Da ciò discende che, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento (onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del 'più probabile che non', la causa del danno), con la conseguenza che, se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.
Quanto alla valutazione del criterio di causalità cd. di "probabilità relativa", la giurisprudenza di legittimità ha precisato che siffatto accertamento non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa/statistica delle frequenze di classi di eventi (cosiddetta probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe mancare o essere inconferente, giacché la valutazione probabilistica, rispetto all'ipotesi di nesso causale da accertare, risulta, piuttosto, dall'applicazione della regola della probabilità, come relazione logica, rispetto a tutti gli elementi che confermano il nesso causale e all'esclusione di altri elementi alternativi che lo escludano (cosiddetta probabilità logica o baconiana), restando, peraltro, inteso che l'accertamento del nesso di causalità implica una valutazione della idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente che deve essere sempre correlata alle peculiari condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità (cfr., da ultimo, Cass. 20 febbraio 2015, n. 3390; Cass. 29 gennaio 2018, n. 2061).
3. Tanto premesso, nel caso di specie si ritiene che la M. abbia dimostrato il fatto costitutivo del proprio diritto, ossia il nesso di causalità tra il tipo di intervento chirurgico cui fu sottoposta nel dicembre 2005, particolarmente importante e demolitivo con evoluzione sfavorevole della patologia neoplastica diagnosticata come leiomiosarcoma, e la condotta del medico che l'ebbe in cura.
In dettaglio, dalla storia clinica dell'attrice attestata dalle cartelle cliniche in atti e descritta nella relazione di c.t.u., si ricava che ella fu sottoposta, in tutto, a cinque ricoveri:
A) il primo - dal 9.11.2004 al 11.11.2004 - con diagnosi d'ingresso di "Metrorragia di n.d.d.". In occasione di questo ricovero, la paziente, riferiva anamnesticamente ipermenorrea da circa un anno ed esibiva ecografia pelvica, eseguita in data 07.09.2004 presso lo studio del dott. P., che evidenziava: "Utero in AVF ad ecostruttura grossolanamente disomogenea per la presenza di grosso mioma della parete anteriore del corpo e verso dx delle dimensioni di cm 8,8 x 8,2 x 7,2. IUS disomogeneo di 2,9 cm. annessi nella norma". Era effettuata una isteroscopia diagnostica, nella quale si riscontrava: "…..sulla parete anteriore è presente una formazione riferibile a polipo endometriale che viene escissa…". La paziente veniva dimessa con diagnosi di "Polipo endometriale" in attesa di esame istologico; l'esame istologico, refertato in data 24.11.2004, descriveva "Frammenti di polipo fibroghiandolare endometriale". Intanto, in data 08.12.2004, su prescrizione del dott. P., la paziente iniziava ad assumere Enantone 11.25 fl. per la miomatosi uterina, presente contestualmente alla poliposi endometriale.
B) Il secondo ricovero - dal 06.05.2005 al 16.05.2005 - con diagnosi d'ingresso di "Leiomioma" per essere sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione. In data 09.05.2005, era sottoposta ad intervento chirurgico di miomectomia laparoscopica, così descritta: "All'introduzione dell'ottica….utero mediano grande circa il triplo, annessi nella norma. Si segnala formazione miomatosa a carico della parete posteriore mal delimitabile….incisione longitudinale ed asportazione solo parziale del mioma per la sua consistenza molle, le dimensioni e la penetrazione miometriale profonda. Si effettua sutura della breccia. Controllo accurato emostasi". La paziente era dimessa con diagnosi di "Miomi uterini". Il referto dell'esame istologico, datato 07.06.2005, descriveva un reperto costituito da "frammenti bianco-brunastri teso-elastici in aggregato di cm 4", con diagnosi di "Leiomioma uterino con aspetti pleomorfi". In data 14.06.2005, il dott. P. prescriveva la prosecuzione della terapia con Enantone fl 11,25 mg per altri 3 mesi.
C) Il terzo ricovero - dal 15.10.2005 al 17.10.2005 - per "Colica pelvica". La paziente riferiva ematuria associata a dolori addominali tipo colica dai 3 giorni precedenti il ricovero. In occasione di tale ricovero era effettuata ecografia pelvica TA e TV che evidenziava: "Utero ad ecostruttura disomogenea di volume notevolmente aumentato per la presenza di formazione ipoecogena da riferire a mioma intracavitario di 17,4 x 15,7 x 11,8 cm….". Veniva dimessa con la seguente valutazione: "Perdite ematiche simil-mestruali in quantità normale. Si dimette in attesa di intervento".
D) Il quarto ricovero - dal 20.10.2005 al 29.11.2005 - con diagnosi di "Menometrorragia". Il reperto clinico di ingresso descriveva: "…Vagina contenente sangue in abbondante quantità similmestruale. Fondo dell'utero a pochi centimetri dall'ombelicale trasversa…", mentre l'esame ecografico evidenziava: "…utero mediano con diametro longitudinale di 20 cm, ad ecostrutturafibromatosa con area iperecogena che occupa la parete posteriore di 13 cm riferibile a mioma. Ovaie non visualizzate". In occasione di tale ricovero era impostata una terapia medica con progestinici, oltre ad una terapia marziale con ferro e vitamine per uno stato anemico (GR 3,92 x 106/ml, HGB 10,8 g/dl; HCT 30,9%). Tale terapia continuava fino al 24 ottobre, data nella quale iniziava anche la somministrazione sottocutanea di Seleparina fiale da 0,3 ml, da ripetere ogni 12 ore. In data 26 ottobre era effettuata una consulenza chirurgica vascolare, che refertava: "Arto inf. sin. edematoso fino all'inguine, di inusuale colorito e temperatura al tatto. Polsi periferici presenti e validi…Si consiglia ecodoppler venoso arti inferiori". In data 28 ottobre, all'esito degli esami strumentali, era eseguita un'altra consulenza di chirurgia vascolare, che poneva diagnosi di "trombosi venosa profonda arto inferiore sinistro. Si consiglia riposo a letto per almeno una settimana….Clexane (...) 1 fl. sc. ogni 12 ore…controllo eco-doppler venoso degli arti inferiori tra 10 giorni". In data 11 novembre eseguiva E. venoso arto inferiore sinistro, con il seguente esito: "Occlusione completa della vena femorale comune e safena interna alla crosse". In data 16 novembre eseguiva ecografia addome completo, con il seguente esito: " Esame limitato da intenso e diffuso meteorismo intestinale in paziente in fase postprandiale. Sottilissima falda liquida nel Douglas. Verosimile formazione angiomatosa al VII segmento epatico di cm 3,4. In sede pelvica segnala formazione occupante spazio disomogenea di circa cm 22 (fibromioma uterino).". In data 17 novembre eseguiva consulenza chirurgica urgente, che evidenziava: "Dolore addominale quadranti sinistri da ieri sera…Non febbre, alvo aperto a feci e gas. Addome mobile, trattabile...in sede sovra-pubica voluminosa massa di consistenza dura, a margini irregolari, che si estende sino quasi all'ombelicale trasversa verso il quadrante inferiore sinistro…..non segni clinici di versamento libero, peristalsi presente e valida…si consiglia RX addome e TAC addome". Il 18 novembre la paziente era inserita in lista per intervento chirurgico. In data 29.11.2005 era dimessa con diagnosi di " Trombosi venosa profonda arto inferiore sx in soggetto con grosso fibroma uterino. Angioma del VII segmento".
E) Il quinto ricovero - dal 12.12.2005 al 27.01.2006 - con diagnosi d'ingresso di "Dispnea e dolore toracico in paziente con trombosinvenosa profonda arto inferiore sx". Nell'anamnesi all'ingresso era annotato: "La paz. da circa 10 giorni accusa febbre continua, malessere generale ingravescente, polipnea con dolore gravativo dorso-lombare…". Al ricovero effettuava TAC Torace - Addome superiore ed inferiore, senza mezzo di contrasto, che evidenziava: "…in basale due addensamenti parenchimali basali dx, triangolariformi, con base alla pleura il cui riferimento a quadro di embolia non può essere escluso. Grossa massa disomogenea a partenza utero annessiale da riferire in prima ipotesi a fibroma". Nel corso del ricovero erano eseguite emotrasfusioni: 2 unità in data 15.11.2005 e 2 unità in data 20.11.2005. In data 22.12.2005 ad intervento chirurgico di "L. con annessiectomia destra - O. - L. pelvica e paraortica - Appendicectomia - Colostomia sec. H.", così descritto: "Incisione xifoombelico-pubica…l'utero appare di dimensioni notevoli occupando la quasi totalità della cavità addominale, presentando tenaci aderenze anteriormente e posteriormentecon le anse intestinali, il peritoneo parietale, posteriore e laterale e con l'omento. La consistenza dell'utero appare notevolmente diminuita, con un ingrossamento globale del fondo utero e del collo uterino. Si segnala la fuoriuscita di materiale purulento e maleodorante dalla superficie uterina durante le fasi di scollamento dalle aderenze. Si procede a cauta adesiolisi anteriore-laterale e posteriore del viscere uterino constatando che la voluminosa massa sospetta in necrosi settica infiltra fino alla parete addominale, ileo ed il sigma a livello della porzione sigma-retto. Si procede ad adesiolisi completa dell'utero… data l'età della paziente si decide di conservare l'annesso di sinistra…Asportazione della voluminosa massa uterina che si invia per l'esame estemporaneo…si contattano i colleghi chirurghi per intervenire sulle porzioni delle anse intestinali interessate dal processo settico-colliquativo. II) Si pratica resezione di circa 60 cm di ileo, che risulta adeso in modo indissolubile alla massa ed anastomosi ileo-ileale latero-laterale con suturatrice meccanica GIA (con anastomosi che cade 15 cm dalla valvola ileo cecale). Resezione di circa 10 cm del sigma non dissociabile dal tumore, perché inglobato nella massa uterina, con affondamento del moncone distale secondo H.. Confezionamento di colostomia attraverso MB sx. Appendicectomia in quanto la punta dell'appendice risulta inglobata nella massa neoplastica III) Essendo il risultato estemporaneo positivo per leiomiosarcoma si procede a ad intervento di tipo stadiativo caratterizzato da linfoadenectomia pelvica dx, paraortica ed omentectomia. La linfoadenectomia sx risulta impraticabile per lo stato infiammatorio ed aderenziale della porzione degli spazi retroperitoneali". Dall'esame istologico definitivo risultava "utero abnormemente aumentato di volume del peso di circa 3 kg…il corpo ed il fondo dell'utero appaiono interamente sostituiti da neoplasia…di aspetto fascicolato con aree lardacee ed aree necrotiche ed emorragiche…leiomiosarcoma dell'utero…la neoplasia infiltra i tessuti fibroadiposi periuterini…aree di necrosi…endometrio indenne da infiltrazione neoplastica…cervice indenne da infiltrazione neoplastica…la neoplasia infiltra la sierosa pericolica e periappendicolare…il mesentere ed ab estrinseco la parete ileale e l'omento…linfonodi indenni". La paziente era sottoposta a trattamento chemioterapico per "Leiomiosarcoma uterino, stadio T4N0M0" dal febbraio al giugno 2006, con 6 cicli di chemioterapia, effettuando negli anni successivi gli esami di follow up in regime di day hospital.
Ripercorso l'iter clinico, dalla relazione peritale redatta dai CC.TT.UU. designati, emerge che: "In merito alla gestione clinica del primo ricovero, si rileva la correttezza dell'impostazione clinicostrumentale attuata. In prima istanza era fondamentale indagare la problematica endometriale, quindi giusta è stata la decisione di eseguire l'isteroscopia, che ha permesso, tra l'altro, di identificare ed asportare un polipo endometriale ed in seconda istanza è raccomandabile, anche in
preparazione ad un eventuale intervento di miomectomia, un pre-trattamento con Analoghi del GnRH. In tale ottica la terapia medica (Enantone 11.25 fl.), prescritta dal dott. P., appare del tutto conforme a quanto ampiamente descritto nella bibliografia scientifica a riguardo." (v. elaborato peritale, pag. 12). Proseguendo, "nel caso in questione non possono essere fatte censure a riguardo dell'approccio chirurgico effettuato (Laparoscopico) e del tipo di intervento eseguito (M.)". Nondimeno, a ciò i consulenti hanno aggiunto che "E' però censurabile non avereconvertito l'intervento da laparoscopico a laparotomico, proprio in considerazione di quanto descritto "…si segnala formazione miomatosa a carico della parete posteriore mal delimitabile…incisione longitudinale ed asportazione solo parziale del mioma per la sua consistenza molle, le dimensioni e la penetrazione miometriale profonda…sutura della breccia e controllo emostasi"", tanto più che "la paziente aveva firmato il consenso informato per "miomectomia laparoscopica - eventuale laparotomia", quindi si aveva tutta la legittimità di potere convertire l'intervento chirurgico da laparoscopico in laparotomico, nel tentativo di asportare l'intera massa miomatosa" (pag. 13 della relazione).
In particolare, gli ausiliari hanno evidenziato che "Errore professionale risulta senz'altro la mancata programmazione dell'intervento chirurgico laparatomico, anche all'esito dell'esame istologico, pervenuto il 7 giugno 2005, che descriveva un mioma pleomorfo, neoplasia che non è stata sottoposta neanche al necessario monitoraggio nei mesi successivi"(cfr. pag. 18 dell'elaborato). Dal piano terapeutico del 14 giugno 2005 si evince, infatti, che all'attrice è stata prescritta la prosecuzione della terapia con Enantone, che già assumeva da sei mesi e si era rivelato inefficace.
Ancora, i cc.tt.uu. hanno osservato che "L'analisi della seconda fase clinica, successiva al giugno 2005, conferma un atteggiamento inspiegabilmente attendista da parte dei sanitari della Ginecologia Universitaria dell'A.P.C.: trascorsi circa 5 mesi dall'intervento chirurgico laparoscopico, la paziente si ricoverava per colica pelvica e metrorragia; risolto l'episodio acuto, era dimessa in data 17 ottobre, rinviando ad un successivo ricovero l'intervento chirurgico, pur evidenziandosi ecograficamente l'aumento del tumore uterino".
Successivamente, in occasione del terzo ricovero del 20.10.2005, si impostava terapia con progestinici, che proseguiva per circa 6 giorni, fino a quando non insorgeva la complicanza trombotica agli arti inferiori. Tuttavia, "La terapia con progestinici avrebbe dovuto avere lo scopo di bloccare e/o ridurre il sanguinamento dovuto alla patologia miomatosa, ma in presenza di una massa miomatosa di notevoli dimensioni, già trattata con miomectomia laparoscopica e che successivamente aveva registrato un notevole incremento nelle sue dimensioni, appare del tutto inadeguata… Non è quindi assolutamente giustificabile questa ulteriore fase di attesa di circa 6 giorni nel ricovero del 20 ottobre 2005 e che, per il sopraggiungere di ulteriori imprevedibili problematiche, sarebbe stata destinata a dilatarsi ulteriormente." (cfr. pag. 15 della relazione).
Peraltro, l'attrice in data 18 novembre era inserita in lista per intervento chirurgico, ma, inspiegabilmente, in data 29 novembre veniva dimessa senza che l'intervento fosse praticato e in data 12 dicembre 2005 si recava, nuovamente, in Pronto Soccorso, per la comparsa di dispnea e dolore toracico e da lì, poi, veniva finalmente operata in data 22.12.2005. L'intervento chirurgico evidenziava un processo invasivo neoplastico, coinvolgente l'utero e le strutture endo-addominali adiacenti.
A questo punto, i consulenti hanno tratto le seguenti conclusioni finali: "E' evidente quindi che l'intervento chirurgico laparatomico, già attuabile nel ricovero del maggio 2005 e che appariva necessario sin dal giugno 2005, non è stato effettuato, in maniera invero incomprensibile, neanche in occasione dei due ricoveri dell'ottobre 2005, a fronte di una paziente francamente sintomatica econ una neoplasia che la diagnostica strumentale evidenziava in continua crescita, nonostante la terapia ormonale" (cfr. pag. 21 in risposta alle osservazioni critiche del c.t. di parte convenuta). E ancora, "L'intervento chirurgico laparatomico, già attuabile nel ricovero del maggio 2005 o comunque programmabile nel corso dell'estate 2005, non avrebbe impedito l'isterectomia, ma avrebbe permesso di evitare l'infiltrazione addominale della massa tumorale e quindi l'intervento demolitivo eseguito, con la resezione ileale e del sigma e la conseguente colostomia" (v. pag. 18). Lineari, logici ed esaustivi appaiono i rilievi dei cc.tt.uu. e, pertanto, assolutamente condivisibili le loro conclusioni.
Risulta, quindi, provato che, se l'intervento di isterectomia fosse stato eseguito - come dovuto - nel giugno 2005, non si sarebbe verificata l'infiltrazione addominale della massa tumorale e non sarebbe stato necessario l'intervento demolitivo eseguito, con la resezione ileale e del sigma e la conseguente colostomia.
L'esposizione fin qui svolta smentisce, altresì, gli argomenti difensivi spesi dall'azienda sanitaria convenuta, sia in ordine alla supposta correttezza dell'operato dei medici in base alle linee guida sia in ordine alla affermata mancanza del consenso della paziente a convertire l'intervento laparoscopico in intervento laparotomico.
In definitiva, quindi, la convenuta costituita non ha dimostrato né l'esattezza dell'adempimento, né l'impossibilità di adempiere, né l'imprevedibilità ed inevitabilità dell'evento che ha provocato il danno.
4. Così accertato l'inadempimento della struttura sanitaria e del medico convenuti, la valutazione del danno biologico subito dall'attrice si può basare sulle persuasive e oggettive risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che ha accertato che i postumi permanenti attribuibili alla responsabilità professionale dell'A.P.C. e del medico che ebbe in cura l'attrice sono rappresentati da "Resezione ileale e colostomia a permanenza, con disturbi stenotici moderati, ma senza apprezzabile perdita di peso, in esito a resezione parziale del sigma per leiomiosarcoma uterino infiltrante, in necrosi settico-colliquativa (stadio T4N0M0)" e realizzano un danno alla salute valutabile nella misura del 30%, tenendo conto delle "Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico della Società I.D.M.L. e delle Assicurazioni".
Alcuna incidenza nella suddetta determinazione dei postumi permanenti ha la dedotta "Depressione maggiore ad andamento cronico in soggetto con polipatologie organiche", per la quale l'attrice risulta essere stata in cura presso il Centro di Salute Mentale di Catanzaro Lido dell'Azienda S.P.D.C. dal maggio 2011 al gennaio 2014, atteso che gli ausiliari hanno escluso che la suddetta patologia possa essere posta in relazione causale con gli eventi di causa: "Il notevole lasso di tempo intercorso tra l'intervento chirurgico del dicembre 2005, oltre cinque anni, porta a ritenere che altri eventi della vita della perizianda abbiano avuto un ruolo etiopatogenetico nell'insorgenza della patologia psichiatrica. Attualmente la perizianda non risulta essere più in cura per il suddetto disturbo depressivo" (v. pag. 17 dell'elaborato peritale).
Quanto alla valutazione della invalidità temporanea, condivisibilmente i consulenti hanno accertato che "qualora l'intervento chirurgico fosse stato eseguito, come dovuto, nel giugno 2005,comportando solo l'isterectomia con annessectomia destra per via laparatomica, non essendosi ancora realizzata l'infiltrazione addominale della massa tumorale, avrebbe comportato una degenza post-operatoria della durata massima di 15 giorni. Pertanto si può affermare che il prolungamento della degenza ospedaliera post-operatoria, valutabile in 20 giorni di inabilità temporanea totale, sia attribuibile alla responsabilità professionale dei medici dell'A.P.C.. Non vi è in atti alcuna documentazione sanitaria successiva, atta a documentare la successiva inabilità temporanea parziale, ove si escluda la certificazione della Fondazione per la ricerca e la cura dei T. "T.C." Centro Oncologico di Eccellenza di Catanzaro, datata 30.05.2007, attestante il trattamento chemioterapico per: "Leiomiosarcoma uterino, stadio T4N0M0" dal febbraio al giugno 2006. Quindi si può affermare con certezza che l'eventuale periodo di inabilità temporanea parziale conseguente alla responsabilità professionale è assorbito e ricompreso nel più lungo periodo di inabilità parziale, dovuta al trattamento chemioterapico cui la perizianda è stata sottoposta per il trattamento della patologia neoplastica uterina.".
Accertato il detrimento biologico, per tale intendendosi la compromissione dell'integrità psicofisica della paziente, suscettiva di accertamento medico legale, relativamente alle ulteriori voci di danno lamentate da parte attrice (segnatamente danno morale, danno esistenziale ed incremento per la personalizzazione del danno) deve tenersi a mente il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte secondo cui, a prescindere dal nomen iuris attribuito ai vari aspetti in cui il danno non patrimoniale si compendia, il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato.
La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata, innanzitutto, come divieto di operare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici e, in secondo luogo, come obbligo di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, attraverso un accertamento concreto e non astratto. Così come chiaramente statuito dalla Corte di legittimità, tuttavia, la necessità di evitare duplicazioni risarcitorie inique non può e non deve condurre, ad un'impropria ed indiscriminata parificazione (e dunque identificazione) di voci di danno distinte e pertanto meritevoli di autonomo ristoro. In tal senso, "se l'accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale non richiedono il ricorso ad astratte tassonomie classificatorie, non possono per altro verso non tener conto della reale fenomenologia del danno alla persona, negando la quale il giudice rischia di incorrere in un errore ancor più grave, e cioè quello di sostituire una (meta)realtà giuridica ad una realtà fenomenica" (Cass. 17 gennaio 2018, n. 901).
Per quanto concerne il danno c.d. esistenziale, se è vero che "esistenziale" è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto, esso, allora, null'altro sarà che la proiezione "esteriore" del danno biologico - ovvero quella riverberantesi sul fare a-reddituale del soggetto, che alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, lo induce a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Riconducendo ad unità il danno esistenziale e quello biologico, si escludono allora indebite duplicazioni risarcitorie: il riconoscimento di un autonomo "danno esistenziale", consistente nel vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della vita della persona conseguenti alla lesione della salute equivarrebbe, infatti, a risarcire due volte un medesimo pregiudizio - quello biologico - sia pur considerato sotto il prisma di due distinti profili. Tale conclusione risulta essere confermata ove si consideri la nuova formulazione dell'art. 138, co. 2, lett. e) del D.Lgs. n. 209 del 2005, nel testo modificato dalla L. n. 124 del 2017.
Ciò non toglie, tuttavia, che il giudice, al fine di consentire la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, deve valorizzare, attraverso la cd. personalizzazione del danno non patrimoniale, quegli aspetti che, nella concreta vicenda clinica e nella specifica situazione della parte lesa, abbiano condizionato o pregiudicato la persona sotto il profilo dell'esplicazione della propria personalità.
Il principio è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (per tutte si veda la recente ordinanza n. 27482 del 30 ottobre 2018: "In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno biologico, rappresentato dall'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute; esso, ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione a un "barème" medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona, può essere incrementato in via di "personalizzazione" in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno subito più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizione di salute".)
Ora di tali aspetti "personali" non vi è traccia nella citazione introduttiva, nella quale la difesa ha osservato unicamente:
- che l'attrice è costretta a muoversi con una sacca esterna che raccoglie le sue feci (conseguenza oggettiva della colostomia subita, che riguarda in egual modo tutte le persone della stessa età e condizione di salute che subiscano una lesione del medesimo tipo), e che ciò le avrebbe precluso le normali relazioni interpersonali, la capacità di svolgere un lavoro e di praticare degli hobbies (allegazione eccessivamente generica atteso, peraltro, che non si fa cenno alle abitudini di vita della attrice prima dell'evento dannoso, emergendo solamente che svolgeva l'attività di casalinga);
- e che ha perso la sua capacità riproduttiva (di nuovo, conseguenza oggettiva della isterectomia subita, che riguarda in egual modo tutte le persone della stessa età e condizione di salute che subiscano una lesione del medesimo tipo), con la conseguenza che non potrà mai più avere un'altra gravidanza (circostanza irrilevante in assenza della prova che l'avrebbe desiderata).
Nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c. si fa cenno alle abitudini di vita della attrice prima dell'evento di danno ("non può andare in bicicletta mentre rima ci andava; non va più nel periodo estivo al mare; evita di stare con gli altri in quanto a causa della sacca esterna ha siafrequenti fenomeni di flatulenza che di evacuazioni che le creano imbarazzo, disagio e teme che gli altri possano avvertire cattivi odori") senza, tuttavia, provare in concreto quale particolare funzione, non già ricompresa nella componente dinamico relazionale propria del danno biologico consenta di apprezzare in modo personalizzato il danno patito.
Infine, nella comparsa conclusionale, viene approfondita la descrizione delle conseguenze esistenziali riportate dall'attrice; tuttavia, alcune di esse sono del tutto nuove ed introdotte per la prima volta in quella sede e, come tali, inammissibili perché tardive (ad esempio, ove si fa riferimento al fatto che l'attrice "non frequenta più locali pubblici e mondani", "presenta disturbi del sonno", "ha definitivamente rinunciato all'idea di trovarsi un nuovo compagno per la vita (essendo divorziata dal marito) e conseguentemente anche a quella di avere una vita sentimentale e sessuale", "da ottima madre "tutto fare", qual era, che si occupava della globalità delle faccende domestiche e familiari - è stata costretta, nds. - a mettersi quasi completamente da parte"); per le altre, valgono le medesime considerazioni di cui sopra, in ordine alla carenza di prova.
L'onere di allegazione e prova della personalizzazione del danno grava sul danneggiato, trattandosi di fatti particolari che esorbitano dal riflesso dinamico relazionale della lesione già apprezzata nella individuazione del punto percentuale del danno biologico.
Nel caso di specie, quindi, in assenza di prova di quei fatti particolari, nessun aumento può essere calcolato.
Chiarito il rapporto esistente tra danno biologico ed esistenziale, occorre, a questo punto, affrontare la valutazione dell'ulteriore voce di danno lamentato dall'attrice, quello morale.
Questo Giudicante non è estraneo al complesso dibattito che ha riguardato la posta risarcitoria in questione, né tantomeno è indifferente alla consueta "unificazione" del danno morale a quello biologico (si pensi, in tal senso, alla circostanza che i valori tabellari milanesi concernenti il danno da lesione all'integrità psico-fisica "contengono" , nella versione attuale, una percentuale di danno morale e ciò in ragione del fatto che, per dato condiviso dalla scienza medico-legale, una condizione di disagio interiore è normalmente e ragionevolmente assorbita dalla lesione alla salute). Sul punto si ritiene di aderire all'orientamento da ultimo cristallizzato nella pronuncia di legittimità già citata, la n. 901/2018, che, mediante un'interpretazione sistematica, approda alla definitiva scorporazione del danno morale da quello biologico.
Tale conclusione è tanto più avvalorata ove si consideri il particolare caso che ci occupa: la sofferenza menomazione-correlata, intesa come conseguenza immediata e diretta del danno biologico permanente e temporaneo, allegata dalla M. (in particolare, con riferimento al dover portare il sacchetto per la raccolta delle feci) si aggiunge alla sofferenza fisica provata nel corso dei numerosi ricoveri e della lunga ospedalizzazione che trova traccia sia nel diario clinico sia nella relazione di c.t.u. (ove si fa riferimento, ripetutamente, a "dolori addominali", "dolore toracico", "malessere generale ingravescente, polipnea con dolore gravativo dorso-lombare").
Una tale sofferenza, tuttavia, non si ritiene esorbiti dalla percentuale contemplata nei punti tabellari per la compromissione accertata (46% del danno biologico) e come tale può considerarsi sussistente. Gli altri pregiudizi allegati dall'attrice (ovvero l'angoscia, la disperazione, la paura di non sopravvivere, la vergogna di sé, il sentirsi ripugnante, inutile e inadeguata), rientrano tra quelli che "non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore" (così punto 8) della c.d. "ordinanza decalogo", Cass. n. 7513/2018).
Questi "altri pregiudizi" richiedono specifica allegazione e prova e di essere accertati con altre modalità, requisiti non soddisfatti nel caso di specie.
Quindi, la prova raggiunta in concreto del danno non patrimoniale da sofferenza soggettiva interiore consente di utilizzare il parametro tabellare con maggiore concretezza ed aderenza al caso di specie.
4.1 Per la stima del danno possono applicarsi le tabelle predisposte dall'Osservatorio per la Giustizia di Milano (aggiornate al 2021), che continuano ad applicarsi in tema di risarcimento del danno alla salute conseguente ad attività sanitaria per le lesioni c.d. macro-permanenti (ovverosia comportanti postumi superiori al 9%), essendo quella legislativa di cui agli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 ancora in fase di realizzazione.
L'importo va quindi quantificato nella somma di Euro 1.980,00 per l'invalidità temporanea (20 giorni al 100%, ovvero Euro 99,00 pro die) e di Euro 153.784,00 per l'invalidità permanente (30% considerando che all'epoca dei fatti l'attrice aveva 38 anni), comprensiva di una quota pari al 46% del valore del punto base di danno morale, per un totale complessivo di Euro 155.764,00, al cui pagamento vanno condannati in solido i convenuti.
Tanto ritenuto, dal momento che la somma anzidetta è stata liquidata all'attualità, sulla stessa, devalutata alla data del fatto (22.12.2005) e rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai, sono dovuti gli interessi legali al tasso pro tempore vigente (ex art. 1284, 1 e 4 comma, c.c.), a partire dal giorno successivo fino alla pubblicazione della presente sentenza; da tale ultima data, che segna la conversione del debito risarcitorio di valore in debito di valuta, sono dovuti gli interessi legali sull'intera somma fino al saldo.
5. Va ora affrontato il capitolo del danno patrimoniale.
Esso è stato articolato dalla difesa attorea sia sotto il profilo della riduzione/abolizione della capacità lavorativa sia sotto il profilo delle spese connesse alla lesione patita.
Tuttavia, in relazione al primo profilo, nell'atto introduttivo l'istante ha allegato soltanto il danno da lucro cessante (futuro) da riduzione della capacità lavorativa specifica, mentre nella comparsa conclusionale ha declinato il danno patrimoniale subito come derivante dalla riduzione sia della capacità lavorativa specifica sia di quella generica (per cd. perdita di chance).
L'attrice, infatti, ha richiamato l'orientamento della Suprema Corte che ha escluso che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito: la lesione della capacità lavorativa generica, consistente nella idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio, ma confacente alle proprie attitudini, può invero costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, la cui sussistenza va accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica (cfr. Cass. n. 908/13; Cass. n. 12211/2015).
Tale specifica ed ulteriore voce di danno non può, tuttavia, essere esaminata poiché, essendo stata allegata intempestivamente, è del tutto inammissibile.
Quanto alla compromissione della capacità lavorativa specifica, l'attrice ha sostenuto che, a causa della grave invalidità permanente subita, ha riportato una riduzione della capacità lavorativa specifica, sostenendo che l'attività che prima svolgeva di casalinga, dopo le lesioni subite, si è sensibilmente ridotta e si svolge con grosse difficoltà e con maggiore usura e affermando che l'importo da liquidarsi può essere quantificato in Euro 72.109,63 avvalendosi del metodo del triplo annuo della pensione sociale, ovvero in misura pari al 25% del danno biologico accertato.
Va senz'altro ribadito il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte a proposito del danno patrimoniale della casalinga: "Chi svolge attività domestica (attività tradizionalmente esercitata dalla casalinga), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un'attività suscettibile di valutazione economica; sicché quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante). Il fondamento di tale diritto - che compete a chi svolge lavori domestici sia nell'ambito di un nucleo familiare (legittimo o basato su una stabile convivenza), sia soltanto in favore di se stesso - è difatti pur sempre di natura costituzionale, ma, a differenza del danno biologico, che si fonda sul principio della tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.), riposa sui principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 Cost. (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro ed i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice)." (Cass. 20.10.2005, n. 20324).
Una volta assodata la configurabilità del danno in questione nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante, chi lo invoca ha l'onere di dimostrare che gli esiti permanenti residuati quale conseguenza della lesione della salute impediscano o rendano più oneroso (ovvero che impediranno o renderanno più oneroso in futuro) lo svolgimento del lavoro domestico; in mancanza di tale dimostrazione, nulla può essere liquidato a titolo di risarcimento di tale tipologia di danno patrimoniale (cfr. Cass. 13.07.2010, n. 16392).
Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra danno biologico (anche di rilevante entità) e riduzione della capacità lavorativa specifica e, pertanto, occorre che sia il danneggiato a dimostrare l'incidenza in concreto della invalidità riportata sull'attività lavorativa in concreto svolta o su quella che avrebbe potuto svolgere confacente alle sue attitudini personali e sociali.
Cass. 10 luglio 2015, n. 14645 ha, infatti, affermato il principio secondo cui "il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa. Affinché il giudice possa procedere all'accertamento presuntivo della perdita patrimoniale da menomazione della capacità lavorativa specifica, anche nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile la menomazione di quella specifica, liquidando poi questa specifica voce di danno patrimoniale con criteri presuntivi, è necessario che il danneggiato supporti la richiesta con elementi idonei alla prova in concreto delpregresso svolgimento di una attività economica o alla prova in concreto del possesso di una qualificazione professionale acquisita e non ancora esercitata".
Nel caso di specie, tuttavia, non è possibile un accertamento presuntivo della suddetta perdita patrimoniale, ai fini della liquidazione di essa con criteri equitativi, essendo le allegazioni di parte attrice sul punto del tutto generiche, astratte e tautologiche e tenuto conto che i cc.tt.uu. non hanno valutato l'incidenza del danno biologico accertato sulla capacità lavorativa specifica della attrice (in quanto "non occupata all'epoca dell'evento per cui è causa") e che la suddetta valutazione non è stata contestata in sede di osservazioni critiche alla c.t.u. (e neppure in seguito).
Infine, non spetta alcun risarcimento per il danno patrimoniale dedotto sub specie di danno emergente per le spese vive sostenute per recarsi agli ambulatori medici e per le spese della consulenza medico-legale di parte.
In relazione alle prime, la domanda è completamente sfornita di prova, non avendo parte attrice allegato alcun documento a riscontro delle presunte spese sostenute, tant'è che ella stessa ne chiede la liquidazione in una somma forfetaria di Euro 500,00.
Quante alle spese di c.t.p., va chiarito innanzitutto che l'istante le definisce impropriamente spese per la consulenza medico-legale di parte, ma si riferisce in realtà alle spese per la perizia stragiudiziale di parte, allegata all'atto di citazione.
Al riguardo, va osservato che, mentre le spese di consulenza tecnica di parte sono spese processuali che la parte soccombente è tenuta a rimborsare non solo se effettivamente già sostenute dalla parte vittoriosa, ma anche se quest'ultima non ne abbia ancora compiuto il pagamento, le spese per la perizia di parte, in quanto spese stragiudiziali, vanno liquidate come una componente del danno emergente e sono soggette agli stessi oneri di allegazione e prova, quindi subordinatamente alla prova del pagamento (cfr. Cass. ord. 17 maggio 2022, n. 15732).
Prova che, nel caso in esame, l'istante non ha fornito, avendo allegato soltanto una nota pro-forma.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in conformità ai parametri indicati nel D.M. n. 147 del 2022 per lo scaglione di riferimento individuato in base al criterio del decisum (valore compreso tra Euro 52.000,01 ed Euro 260.000,00) e specificando che, avendo l'attrice rinunciato al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v. comparsa conclusionale del 03.01.2023), la condanna va disposta in favore dell'Erario limitatamente alle spese anticipate di contributo unificato, diritti di notifica e di copia (come da foglio notizie allegato al fascicolo) e in favore della parte vittoriosa personalmente con riferimento ai compensi professionali.
Le spese di c.t.u., liquidate come da separato provvedimento, sono poste definitivamente a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Catanzaro, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte:
- accoglie per quanto di ragione la domanda di M.F.E. e, per l'effetto, condanna P.M. e l'Azienda O. P.-C.' di C., in solido tra loro, a risarcire all'attrice la somma di Euro 155.764,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi come indicati in motivazione;
- condanna i convenuti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 925,26 per spese in favore dell'Erario ed in Euro 14.103,00 per compensi in favore dell'attrice, oltre rimborso spese generali, IVA e CAP come per legge;
- pone definitivamente a carico dei convenuti in solido le spese di c.t.u., liquidate con separato decreto.
Così deciso in Catanzaro, il 24 aprile 2023.
Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.